
LA PARTITA DELLA VITA
Nel calcio, come in ogni altro sport, ci sono partite più difficili di altre perché la squadra avversaria è più forte, ma te la giochi alla pari; in fondo la conosci, puoi studiarla, puoi prepararti ad incontrarla, dare il meglio e magari sorprendere e sorprenderti, battendola. Il peggio che può accadere è perdere ed allora ne resti deluso, esagerando ti arrabbi, però fa parte del gioco. E’ normale e lo sapevi ancora prima di iniziare a giocare. A parte la classifica del campionato, non rischi altro e la prossima volta cercherai di ribaltare il risultato.
Ci sono partite, invece, inique perché l’avversario è silente, invisibile e soprattutto non sai mai quando e come ti sfiderà. Puoi dargli il nome che ti sembra più appropriato, destino, sfortuna o semplicemente vita, la sostanza non cambia; non lo conosci e non sei stato allenato per affrontarlo. Non hai preparazione atletica, né tecnica, nemmeno quella mentale.
Queste sono le partite che nessuno si aspetta di giocare, nessuno vuole giocare. Queste sono partite i cui giocatori si formano direttamente sul campo; imparano le regole, si allenano, studiano tattiche e schemi affidandosi ad un unico coach, la forza di volontà. Qui vincere diventa un imperativo. La sconfitta non devi e non puoi metterla in conto.
La partita diventa ancora più dura quando in campo sono convocati i bambini. Vogliamo parlarvi di uno di loro affinché non venga mai dimenticato , Marco Caramaschi. “
“Lui”, dice Luigi Mavilla, “incarna perfettamente l’Audacino”.
In occasione della donazione all’associazione “Noi per loro ADV” di Parma, fatta proprio in memoria di Marco, abbiamo incontrato i suoi genitori, Manuela e Paolo, ed attraverso le loro parole, ci siamo resi conto di quanto l’Audace gli abbia regalato, seppur per poco tempo, gioia e calore umano. Marco è arrivato in Audace, racconta la sua mamma, perché una mattina, durante la ricreazione a scuola, guarda fuori dalla finestra della sua aula, che si affacciava proprio sui campi della società, vede i ragazzi che si allenano e immediatamente sente che gli piacerebbe iscriversi a quella scuola di calcio. La sua mamma senza esitare lo iscrive. Marco inizia il suo percorso da Audacino. Il suo primo allenatore è proprio Luigi Mavilla. Era il 2014. Aveva solo 10 anni e una passione per il calcio smisurata. Purtroppo di lì a poco l’avversario invisibile lo sfida. Marco inizia la partita più importante della sua vita. La partita della vita.
Ancora una volta la sua mamma ci racconta di come i suoi compagni di squadra e gli allenatori gli stanno accanto. Ricorda di come riempivano la sua stanza d’ospedale di allegria e soprese, sostenendolo ed incitandolo a non mollare. E quando non potevano entrare in ospedale si appostavano sotto la finestra di quella stanza aspettando che lui si affacciasse anche solo per salutarlo e strappargli un sorriso. Volevano fargli sentire che loro c’erano sempre; non era solo.
Quando il nostro giovane lottatore tornava finalmente a casa era troppo debilitato e fragile, quindi non poteva comunque allenarsi, eppure, Mavilla ha impressa nella memoria l’immagine di lui in campo; si faceva accompagnare dai suoi genitori per stare vicino ai compagni durante gli allenamenti e durante le partite. Ora toccava a lui sostenerli ed incitarli. A volte il suo sistema immunitario era troppo precario e gli impediva anche di andare semplicemente in campo, ma lui niente, non si arrendeva. Faceva in modo che il suo papà si avvicinasse più possibile con l’auto ai campi di allenamento o di gioco e dal finestrino seguiva la sua squadra. I suoi compagni sapevano che lui era lì per loro e giocavano anche per lui.
Marco non ce l’ha fatta, ma ha vinto lo stesso perché ancora oggi i compagni di squadra e gli allenatori parlano di lui, mantenendone vivo il ricordo e citandolo come esempio per chi vuole diventare un vero Audacino. Il suo impegno, la sua passione, la sua voglia di divertirsi, la sua capacità di inclusione, la sua disciplina ed il suo senso di rispetto, nonostante la giovane età, lo hanno reso un esempio da imitare, quindi immortale. Per la sua famiglia, ovviamente, lo è a prescindere; per noi in Audace ha reso impossibile dimenticarlo.
Ci sono tanti altri Marco intorno a noi, molti non li conosciamo, ma alcuni impariamo a vederli grazie alle associazioni che si fanno loro partavoce e spesso sono proprio i genitori a scendere in prima linea per renderli visibili alle istituzioni e alla società. Mamme come Ketty Lalli Fabridi, che il giorno prima ha una bambina sana e “normale”, il giorno dopo non riconosce più sua figlia in quella bambina; fisicamente è uguale certo, ma non caratterialmente. La sua piccolina è imprigionata in un groviglio di paure, ansie, tic maniacali, attacchi di isteria ed aggressività. Sofferenza emotiva che si traduce anche in sofferenza fisica. Le viene diagnosticata una neuropatia, ma non le danno spiegazioni sulle cause scatenanti né sulle conseguenze. Lei non ci sta; non può restare inerme, accettando semplicemente una diagnosi che non la convince ed una cura che non allevia quella sofferenza. Studia, si informa, fa ricerche. Da sola arriva alla vera diagnosi. Una malattia riconosciuta ufficialmente in USA, ma non Italia, né in nessun altro paese Europeo. La cosa più assurda è che questa malattia ha una cura risolutiva, ma non essendo riconosciuta dal nostro Ministero della Salute, non viene riconosciuta e quindi applicata nemmeno la cura. A negarla sono gli stessi medici, fatta eccezione per qualche nome, ma sono una minoranza troppo scarsa. La cura applicata negli Stati Uniti può essere somministrata liberamente nel nostro paese ai bambini riconosciuti affetti da Pans Pandas, così si chiama questa terribile malattia, ma totalmente a carico delle famiglie che decidono di seguirla. Al di là delle medicine, questi bambini devono seguire un’alimentazione specifica a base di prodotti costosi. Potete ben immaginare quali sacrifici economici devono affrontare le famiglie.
U.S. Audace non può rimanere sordo alla richiesta di aiuto di Ketty e degli altri genitori italiani che si trovano a combattere con questa patologia, per questo parte della somma raccolta con la campagna di beneficienza attivata in occasione dell’ultimo Natale, è stata devoluta in loro favore. Con questo piccolo contributo abbiamo aggiunto un mattoncino al progetto di realizzare un film che parla di questa malattia, sperando di farla conoscere a quante più famiglie possibili; soprattutto quelle che hanno un figlio affetto dalla stessa patologia ed ancora non sanno che possono salvarlo.
Siamo e restiamo una scuola di calcio, ma siamo e vogliamo restare anche una scuola di vita.